Spoon River, ciao
foto di William Willinghton
Dopo
aver letto l'Antologia di Spoon River il fotografo William Willinghton
andò a riprendere i luoghi che avevano ispirato L. Masters e ha
pubblicato i suoi scatti nel volume Spoon River, ciao (2006) con i commenti di Fernanda Pivano.
Intervista a William Willinghton su Spoon River, ciao
Certe cose Fabrizio De Andrè
è sempre riuscito a farle molto bene: raccontare storie, delineare sfumature di
personaggi complessi, mostrare le miserie dell’animo. I protagonisti del suo
quinto album Non al denaro, non all’amore nè al cielo, recentemente
rivisitato da Morgan, sono liberamente ispirati alle
poesie dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters.
Morti ai quali (tranne al suonatore Jones) il cantautore ha aggiunto
la caratteristica dell’anonimato. Anzi, dell’indeterminato. Dunque
ancora più veri, onesti, nudi. Estremamente attuali. Potenti che esercitano il
potere con la cattiveria della rivalsa, medici disillusi, scemi del villaggio e
così via.
Oggi come ieri, a Spoon River come in qualunque altra parte
del mondo. Non si tratta però di tipi riconoscibili in maniera
semplicistica, né tantomeno di burattini relegati ad un mero ruolo attanziale.
I personaggi hanno molte sfaccettature e lo sforzo di De Andrè è stato proprio
quello di condirli con ulteriori caratteristiche e, allo stesso tempo, renderli
semplici. Così semplici che ci sembra di averli sempre conosciuti. Più che
rivisitare il libro, ne ha accresciuto il significato. Ha aggiunto poesia alla
poesia. Chi sa in quanti, ascoltando i pregevoli testi musicati da Nicola
Piovani si sono interrogati sulla reale esistenza di questo misero
villaggio. Chi sa in quanti avrebbero voluto visitare la bottega dell’ottico
ed ordinare le sue lenti speciali.
Il fotografo William Willinghton ha voluto toccare con mano
questo piccolo mondo a parte che ha incantato molte generazioni. E’ partito per
l’Illinois e si è fermato a fotografare la location di quelli che erano i suoi
sogni da adolescente: Spoon River. Un paese così piccolo da non poter
racchiudere tante speranze, tante angosce ed amori. Tanta morte. Willinghton
lo ha vissuto, lo ha fotografato e lo ha raccolto nel suo libro,
appassionatamente commentato da Fernanda Pivano, Spoon
River, ciao (ed. Dream Creek, 2006). E ce lo racconta.
D. Sig. Willinghton, con questo libro è riuscito a dare una forma a scenari che fanno ormai parte dell’immaginario collettivo, ma come Le è venuto in mente di recarsi a Spoon River? E soprattutto, ha trovato la Spoon River che si aspettava?
R. Ho iniziato a leggere le poesie di Spoon River all’età di quindici anni, quando una sera avevo trovato per caso una copia dell’Antologia insieme ad altri libri dimenticati su un muretto in riva al lago di un paesino italiano, dove trascorrevo ogni estate il mese di agosto. Da quella sera, giorno dopo giorno, me ne ero innamorato e avevo deciso che un giorno avrei voluto visitare quei luoghi e cercare la lapide di George Gray, la lapide di quell’uomo che per la paura era stato per tutta la vita solo una barca che “anela al mare, eppure lo teme”. E così una fredda sera d’autunno, mentre ero nel mio studio di Londra stavo rileggendo ancora una volta quelle poesie e all’improvviso ho deciso che la mattina dopo, senza dirlo a nessuno, sarei partito per Spoon River. Ho preso il primo aereo e sono arrivato a Chicago e da lì in autostop ho attraversato l’Illinois fino ad arrivare nella parte più a sud, quasi al confine con il Missouri, a una trentina di miglia dalla piccola capitale Springfield, dove scorre lo Spoon River. Avevo bisogno di leggere quelle poesie proprio sulle rive dello Spoon River e avevo bisogno di cercare delle risposte. Abitavo in un piccolo bed and breakfast, passavo le giornate a camminare, a leggere l’Antologia e un giorno ho sentito il bisogno di raccontare quei luoghi.
D. Il cedro di McNeely, la banca di Rhodes, l’orologeria di Simmons. Il racconto che Lei fa all’inizio del libro è molto suggestivo e ci piace pensare che il custode del cimitero esista veramente. Si respira davvero l’atmosfera che Lei descrive o è solo frutto della suggestione?
R. Credo che Spoon River rappresenti per tutti coloro che l’hanno amata e continuano a sognarla, prima di tutto un luogo dell’anima, un luogo dei Sogni, un luogo dei Silenzi. Un luogo dove la realtà diventa sogno e il sogno realtà.
D. Come ha conosciuto Fernanda Pivano e come è nata la vostra collaborazione per questo libro.
R. La prima volta che ho conosciuto Fernanda era il 1996-97, quando una sera l’avevo incontrata nella sua casa di Milano e dopo qualche ora di conversazione, mi allontanavo con l’immagine di quella scrittrice che aveva libri ovunque (compreso nel forno della cucina) e che mi aveva salutato con il Saluto egli Indiani, che non faceva domande, ma che era capace di ascoltare le fotografie che Le avevo portato. Con Fernanda in questi anni ho condiviso dei grandi sogni, come l’amore per la Fotografia di Robert Capa e Robert Frank; per la Poesia di Ginsberg, Kerouac, Corso, De Andrè; ma anche il mio grande amore per la letteratura americana di Hemingway. Abbiamo condiviso il sogno per tutti questi anni che un giorno avremmo realizzato insieme un libro tra fotografia e letteratura, come The Americans (di Robert Frank e Kerouac) o A Russian Journal (di John Steinbeck e Robert Capa). Lo scorso anno, qualche mese dopo essere stato a Spoon River e dopo avere stampato tutte le immagini, passando dall’Italia avevo voluto rivedere Fernanda, che era stata la prima a tradurre in Italia l’Antologia di Spoon River nel 1943 e che aveva visitato i luoghi che ispirarono l’Antologia nel 1956. Quella sera ci eravamo incontrati nel ristorante vicino al Corriere della Sera dove ci incontriamo sempre quando sono in Italia, e le avevo fatto trovare sul tavolo del ristorante una sorpresa: la scatola di fotografie con le immagini che avevo scattato qualche mese prima a Spoon River. E così Fernanda dopo averle guardate, aveva annotato sulla scatola che conteneva le immagini: Caro William Willinghton, tu passi la tua vita a ucciderti a forza di sognare, e la stessa notte aveva deciso di scrivere vicino ad ogni immagine poche parole che le ricordavano le emozioni di quella realtà sognata da adolescente e che quelle fotografie erano ancora capaci di farle sognare. Il giorno dopo mi aveva restituito fotografie e testi con un biglietto: Ecco il libro che cercavamo da tempo. Pubblichiamolo!
D. Cosa ha significato per Lei l’album Non al denaro, non all’amore né al cielo?
R. Ho conosciuto Fabrizio grazie a Fernanda Pivano ed è stata proprio Fernanda a regalarmi la copia in vinile del disco qualche mese dopo il nostro primo incontro. Non so quante volte ho ascoltato questo disco, forse un migliaio, ma ogni volta rimango affascinato da quella voce – che Fabrizio diceva un po’ stonata – che racconta personaggi e storie che avevano stregato la mia fantasia di adolescente.
D. La stessa Pivano dichiarò: “Fabrizio ha fatto un lavoro straordinario; lui ha praticamente riscritto queste poesie rendendole attuali, perché quelle di Masters erano legate ai problemi del suo tempo, cioè a molti decenni fa. Lui le ha fatte diventare attuali e naturalmente ha cambiato profondamente quello che era il testo originale; ma io sono contenta dei suoi cambiamenti e mi pare che lui abbia molto migliorato le poesie. Sono molto più belle quelle di Fabrizio, ci tengo a sottolinearlo”. Lei cosa ne pensa?
R. Ho sempre amato la Poesia di Fabrizio perché non amo quei poeti che scrivono il fanciullo giunse alla dimora, ma chi invece è capace di scrivere il bambino è andato a casa; non amo chi scrive urla e biancheggia il mar, ma amo chi scrive ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche / trascinarsi per strada di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa. Ecco, Fabrizio aveva questo dono, la semplicità del genio e la capacità di farsi ascoltare da tutti perché parlava direttamente al cuore delle persone. E anche con il suo Spoon River è stato così: è stato capace di sciogliere lo stile un po’ puntiglioso e polemico di Masters, rendendo tutto più attuale e più semplice da capire; focalizzando l’attenzione sicuramente sui personaggi, ma senza dimenticare i grandi temi dell’Antologia, come prima di tutto quelli della pace e dell’amore.
D. Anche nel nostro tipo di vita sociale abbiamo dei giudici che fanno i giudici per un senso di rivalsa, abbiamo uno scemo di turno di cui la gente si serve per scaricare le sue frustrazioni (è tanto comodo a tutti, uno scemo…), disse De Andrè spiegando il suo tentativo di attualizzare l’Antologia. Il segreto di questi personaggi, siano essi scritti o cantati, risiede nella loro universalità?
R. Senz’altro la forza di queste poesie e dei suoi protagonisti è la loro universalità. Vedi, è questa forse la vera chiave dell’Antologia: Masters è stato capace di raccontare il macrocosmo attraverso il microcosmo, raccontando la vita di una piccola cittadina, dove però i problemi sono universali, ha raccontato l’intera umanità. È questo che sta dietro all’Antologia: l’avvocato di città è poco diverso dall’avvocato di campagna e così anche il medico o il farmacista o il giudice. E così Masters, utilizzando come punto di partenza il piccolo cimitero sulla collina, ha raccontato l’intera vita di una città e dei suoi abitanti, che è Spoon River, ma potrebbe essere di qualsiasi città.
D. I luoghi del matto e del suonatore Jones. La tomba di Mary. Cosa ha provato varcando il cancello di quel cimitero?
R. Ho capito, in fondo, che purtroppo è vero: C’è qualcosa nella Morte che ricorda l’Amore.
D. A quale personaggio si sente più legato?
R. A George Gray. Ho voluto cercare la sua lapide, perché quella poesia per me era ed è un manifesto di vita. Quella poesia che finisce così: Dare un senso alla vita può condurre a follia / ma una vita senza senso è la tortura / dell’inquietudine e del vano desiderio / è una barca che anela al mare eppure lo teme. Ecco, quello che non voglio essere: una barca che anela al mare, eppure lo teme.
D. Lei scrive, e non faccio fatica a crederlo, che il silenzio ha giocato un ruolo dominante nel suo viaggio. Il silenzio delle poesie: può spiegare meglio questo concetto?
R. Quando ho chiesto al custode del cimitero quale era la cosa che a lui piaceva di più dell’Antologia mi aveva risposto: il silenzio. E dopo avere visto il mio sguardo attonito, aveva aggiunto: Ascolta questo silenzio – eravamo nel cimitero – non è quello delle poesie? Aveva ragione. Il silenzio che si respirava in quel luogo era lo stesso che c’era nelle poesie. Ma non era un silenzio di angoscia, ma di sonno, di sogno, di pace e di amore. Ed è questo silenzio che ho voluto raccontare e rispettare con la mia silenziosa Leica M6.
D. Grazie, a nome di tutti coloro che si sono nutriti di quelle poesie, di quella musica…
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