domenica 6 settembre 2015

I GIALLI DELLA II B



UNA CENA PARTICOLARE

di Riccardo Cambria e Andrea Merlini

     Jack venne svegliato e avvisato da un fattorino che la sera seguente ci sarebbe stata una cena a cui avrebbero partecipato i detective più famosi di Londra, e lui era tra gli invitati.
     La sera seguente si recò alla cena e incontrò gli altri ospiti.
     Quando si sedettero si spensero le luci, in quel momento si sentì una voce inquietante che diceva: “Tra di voi c’è un assassino … se  volete salvarvi dovete scoprire chi è e fermarlo!
     Le luci si riaccesero e uno degli invitati scoppiò a ridere e disse: “Sono solo bugie per spaventarci”.
     Dopo qualche minuto dalla fine della cena, lo stesso uomo urlò e cadde a terra. Jack corse verso di lui e verificò se fosse morto.
     A quel punto si scatenò il panico generale, per calmarli l’investigatore chiuse le porte e riunì tutti nel salone dove avevano cenato. All’improvviso saltò la corrente e fu buio totale, l’unica cosa che si vedeva erano i fulmini che cadevano dal cielo.
     In quel momento l’investigatore capì che doveva trovare l’arma del delitto e, utilizzando la pila che portava sempre con sé, capì che si trattava di un’arma da taglio e vide tracce di sangue che dal  cadavere arrivavano fino ad un armadio.
     Lo spostò trovando l’arma incriminata, un coltello infilzato su un foglio che diceva di attraversare la galleria che avrebbe portato fuori dall’edificio.
     Uno degli invitati preso dal terrore, corse verso la galleria ma nell’avanzare fece scattare una trappola dalla quale uscì una lama che gli tranciò da parte a parte il collo.
     Disinnescata la trappola, riuscirono ad attraversare la galleria e raggiunsero la strada.
     Nella mente di Jack c’erano mille idee confuse: il sospettato poteva essere chiunque, e, mentre pensava a questo trovò per terra un pezzo di stoffa nera lucida, che gli ricordò immediatamente la giacca indossata dal fattorino che gli aveva portato l’invito il giorno prima.
     Senza alcun dubbio l’investigatore si mise a fare le sue ricerche e rintracciati il nome del suo uomo e l’indirizzo, si precipitò per arrestarlo, ma giunto sul posto trovò un biglietto nel quale l’assassino aveva scritto i nomi delle sue prossime vittime e Jack capì che la caccia all’uomo si era trasformata in una corsa contro il tempo…!


                 HELP ME


di  Bernareggi  Eva, Cormio Matteo,  Iavarone Leda,
Gritti Morlacchi Alberto, Gallo Andrea

Erano le 6.35 del mattino, Tony Parker, un
signore sulla quarantina, alto e grosso con
capelli e occhi scuri, un grosso naso e uno
sguardo severo, si era appena svegliato
quando, guardando fuori dalla finestra, vide
che un aereo stava volando in modo strano,
infatti notò che stava scrivendo HELP in
cielo e che stava precipitando nella radura
poco distante da casa sua.
Subito capì che stava succedendo qualcosa di
strano, forse era un nuovo caso di cui avrebbe
dovuto occuparsi.
Di fretta e furia si vestì e chiamò sua figlia
nonché la sua assistente Vicky: una ragazza
alta e bionda, con lo stesso naso del padre e gli
occhi azzurri della madre ormai defunta, Tony
le chiedeva di assisterlo in tutti i suoi casi
perché era dotata di unacuta intelligenza e di
un grande spirito di osservazione.
Appena arrivò si recarono sulla scena
dellincidente. Il grosso aereo era adagiato
sullerba non più verde ma di un colore terroso
dovuto allo schianto dellaereo, questo era
diviso in tre grandi pezzi: la cabina di
comando, le ali e la coda. Della pilota o dei
passeggeri non cera nessuna traccia. Essendo
arrivati lì per primi laereo non era stato
toccato e quindi poterono prelevare la scatola
nera.
Mentre Vicky cercava delle prove lispettore
tornò in laboratorio ad analizzare la scatola.
Parker stava iniziando a scoprire i primi dati
quando accorse Vicky dicendo: <Lho trovata!
É una donna di bassa statura con due grandi
occhiali sul viso, ha dei lunghi capelli castani e
gli occhi azzurri. Si chiamava Margot, c’è
scritto sulletichetta della divisa. Era la pilota
ed era da sola>.
Tony le rispose: <Esatto! E non è stato un
incidente, qualcuno ha sabotato i comandi
dellaereo>.
<Noi scopriremo chi é stato!> Rispose Vicky
con entusiasmo.
Dopo aver svolto accurate ricerche, scoprirono
chi erano le persone più vicine alla vittima e le
chiamarono dicendo loro di arrivare il più presto
possibile.
Lex marito che Margot aveva lasciato un paio
di mesi prima arrivò dopo poco visto che
abitava in quella cittadina: era un uomo
modesto vestito semplicemente in modo da
non dare troppo nellocchio. Avrebbe avuto
molti motivi per uccidere la ex moglie, infatti
si erano lasciati da poco perché lui aveva
scoperto che Margot lo tradiva, in realtà
litigavano da molto tempo soprattutto per
questioni economiche.
I due investigatori chiamarono anche la
migliore amica di Margot, una hostess che
lavorava con lei. Erano sempre state molto
amiche solo che Katrina, la hostess, era
sempre stata più determinata e intelligente e
questo spesso dava fastidio a Margot e nelle
ultime settimane era stato argomento di
discussione tra le due.
I parenti di Margot abitavano lontano e riuscì
ad arrivare in quella cittadina solo il fratello.
Era un ragazzo strano, più grande di Margot di
parecchi anni, i due si vedevano spesso perche
la pilota ci teneva a portare il fratello in luoghi
esotici per farlo riposare. Questo però era
bipolare e spesso aveva dei cambiamenti di
umore improvvisi che lo portavano anche ad
azioni di violenza.
Appena i tre arrivarono gli investigatori
raccontarono loro laccaduto e gli posero
alcune domande:
< Chi avrebbe potuto uccidere Margot?>
I tre non si aspettavano una domanda del
genere per cui iniziarono ad essere nervosi e
Vicky notò subito che alla hostess tremavano le
mani, il fratello iniziò a sudare e l’ex marito
inizio a giocherellare con una mela.
Gli investigatori riposero la domanda ma i tre
dichiararono di non avere sospettati.
Gli investigatori capirono che non sarebbero
riusciti a estrapolare nessuna informazione,
allora congedarono i tre.
Vicky e l’ispettore non persero tempo e
iniziarono ad indagare più a fondo.
Tony analizzò meglio la scatola nera e capì
che i comandi erano stati sabotati prima della
partenza dell’aereo.
La mano che stava sabotando i comandi non
era una mano ferma visto che dalla scatola
nera si avvertivano dei tremolii.
Questo voleva dire qualcosa … Tony non
capiva eppure la sua mente gli stava dicendo
che questo era l’ultimo indizio, quello che
l’avrebbe portato a risolvere il caso.
Arrivò Vicky allegra dicendo: < Ma li hai
visti?! Stavano per scappare dalla paura, uno
giocava con una mela per distrarsi, l’altro
stava sudando come Luigi sedicesimo al patibolo
Tony e Vicky vennero invitati al funerale di
Margot e vennero più volte ringraziati dai
presenti.
Quel giorno Vicky si sentì particolarmente
importante e decise che in futuro avrebbe
seguito le orme del padre.
 


Una 2B in pericolo
Di Niccolò Plateroti

     Era ricominciata la scuola e avevo appena risentito, dopo tre mesi, quel suono di disgrazia…
     Stava per cominciare la lezione quando mi ricordai di aver lasciato un libro nell' armadio, mi precipitai e aprendolo mi crollò addosso il corpo di Sara Zhou, una mia, ormai, ex compagna di classe. Era ricoperta di sangue e aveva tre pugnalate sull'addome che rivelavano quale fosse l'arma del delitto, un coltello da cucina che però non venne trovato nei paraggi. L’unico indizio apparentemente utile era una "B" incisa sulla fronte della sfortunata. La classe era sconvolta e l'arrivo della polizia non migliorò la situazione. Fin dal principio pensai che per la polizia non sarebbe stato facile trovare una pista su cui indagare visto che Sara era una di poche parole. Da quel che riuscii ad origliare non erano state trovate impronte digitali o segni di lotta, in compenso si trovò l' impronta di una scarpa per terra. Nonostante mio padre, tenente incaricato del caso, cercasse di tenermi al di fuori della situazione io decisi di intromettermi lo stesso. Le mie indagini vennero supportate da Leda, il mio astutissimo braccio destro. Fin dal primo intervallo ci mettemmo all’opera studiando l'impronta della scarpa, assomigliava molto a quella dello stivaletto della nuova professoressa di Lettere conosciuta alla prima ora. Avevo un nuovo nome da mettere nella mia lista degli indiziati, Costanza Bianchi. Salutai Leda e tornai a casa dove incontrai mio padre che studiava il caso. Si era fatta notte quando mio padre andò a dormire e io mi misi a sbirciare tra i suoi appunti.
     All' interno trovai i seguenti indizi:

L ' ora dell' omicidio era successiva al termine della scuola serale ...
La causa della morte era soffocamento mentre i tagli erano stati inflitti post mortem.
I suoi genitori erano partiti quindi lei era rimasta sola a casa, per questo non era stata denunciata la scomparsa.

     Nei due giorni seguenti per fortuna non successe niente quindi si rivelarono un'occasione per riflettere meglio insieme a Leda però senza arrivare ad una conclusione.
     Il quarto giorno trovammo Alessandro impiccato sulla porta della nostra classe. Di questo omicidio si notò subito il cambiamento nel modus operandi del serial killer ma ciò che dimostrava il legame fra i due casi, quindi opera dello stesso omicida, era la "B" incisa sulla fronte.
     Mi consultai con Leda e nonostante tutto ancora non capivamo molte cose e i dubbi erano ancora troppi.
     La sera vidi mio padre molto nervoso e ad un tratto però venne verso di me e mi rimproverò per aver sbirciato tra i suoi appunti e mi ribadì di starne alla larga, cosa che non avrei potuto fare dato che poteva esserci qualsiasi possibilità che il prossimo potessi essere io, o qualcun' altro, e non pensai ad altro che impedirlo.
Il giorno dopo tornai a scuola, che, nonostante l’accaduto, non aveva lo stesso chiuso, anzi le lezioni continuavano inesorabilmente e qualche volta alle professoresse scappava una frase come: "State tranquilli, ragazzi " anche se non serviva a niente, eravamo tutti preoccupati.
     La sera tornai a sbirciare le informazioni trovate da mio padre e trovai solo quelle sulle professoresse:
Professoressa Lotto: nessun precedente, marito e tre figli.
Professoressa Bianchi: figlia unica, perse la madre, più volte ricoverata in ospedale per fratture o danni più gravi procurati dal padre.
    Appena lessi le informazioni sulla professoressa Bianchi rimasi stupito e cominciai a pensarci su.
     Era mattino quando Leda e io ci consultammo e pensammo al comportamento della prof. ssa Bianchi giudicandola seria, nervosa e riservata, così nell'intervallo di nascosto ci mettemmo a cercare qualcosa nella sua borsa e ci trovammo un coltellino compatibile ai tagli di Sara e una corda compatibile ai lividi sul collo di Alessandro. Insieme però pensammo che se lo avessimo detto alla polizia non ci avrebbero creduto allora presi lo scotch e lo attaccai al coltellino e poi lo staccai ricavandone le impronte.
     Passò ancora un giorno e si verificò un altro omicidio identico al primo, a morire questa volta fu Leda. Ciò mi spaventò perché fece pensare a me come prossimo e che avevo due giorni per incriminarla. Andai di nascosto nel palazzo dove lavorava mio padre e chiesi da parte di mio padre alla scientifica di analizzare le impronte che avevo ricavato e mi accertarono che fossero di Costanza Bianchi .
     La mattina stavo andando a scuola disperato per la morte dei miei amici quando qualcuno da dietro mi mise un panno in faccia e mi trascinò in un furgone...
Mi risvegliai in una stanza ricoperta di sangue dove entrò la prof.ssa Bianchi. Appena presi le forze le chiesi il perché avesse fatto tutto ciò e lei mi rispose per vendetta , per vendicarsi di quello che suo padre aveva fatto a lei e che lo avrebbe fatto provare ad altre persone, mi misi a tremare dalla paura, speravo qualcuno potesse aiutarmi. Ad un tratto sentii la porta muoversi ma invece di entrare Costanza entrò mio padre, preoccupato, che venne ad abbracciarmi e a dirmi che era tutto finito e che era merito mio ....
     Mi risvegliai sul lettino di un ospedale e la prima cosa che vidi fu mio padre, al quale chiesi come avesse fatto a sapere che io fossi lì e lui mi rispose che aveva trovato delle impronte che avevo ricavato e quindi si era preoccupato rintracciando il mio telefono.
Mi girai dall' altra parte e pensai alle persone che erano morte per colpa sua e che finalmente altre persone non avrebbero sofferto più , proprio in quel momento lessi il mio nome scritto sul foglio appeso alla porta con scritto : "Qui si trova Niccolò Plateroti " e sentii mio padre che per la prima volta mi diceva : "Sono fiero di te".



TRADIMENTO  ROSSO SANGUE
di Riccardo Reali
Era la notte del solstizio d’inverno nella periferia di Mosca.
La neve cadeva soffice e silenziosa, le strade erano deserte e il gelo rendeva tutto immobile e quasi irreale.
All’improvviso un grido spaventoso ruppe quel silenzio incantato e poco dopo si udirono sempre più vicine, le sirene della polizia.
L’ispettore Popovich si svegliò di soprassalto e si precipitò in strada per cercare di capire cosa stesse succedendo.
Pochi metri davanti al suo palazzo, giaceva a terra il corpo di una giovane donna, il sangue ancora caldo, che fuoriusciva dal suo petto, aveva colorato di rosso intenso la candida neve attorno.
Non c’era più nulla da fare, la ragazza era morta, uccisa da un solo colpo d’arma da taglio infertole in pieno petto. Un nuovo caso di omicidio per l’ispettore Popovich su cui indagare.
L’identità della vittima fu presto svelata, si trattava infatti di Tamara, la figlia dell’ appena eletto presidente Gorbaciov.
L’ispettore parlò con tutti i collaboratori del presidente per trovare qualche traccia e una pista da seguire.
La sua attenzione cadde in particolare sul consigliere Rybakov, che grondava di sudore e sembrava molto agitato.
Popovich decise di farci una bella chiacchierata, Rybakov negò fino alla fine dell’interrogatorio, di avere ucciso la ragazza.
Non convinto pienamente della sincerità del consigliere, Popovich decise di perquisire il suo appartamento.
Venne alla luce un unico possibile indizio: un fazzoletto sporco di sangue trovato sul fondo della cesta dei panni sporchi.
La Scientifica lo analizzò e scoprì che il sangue apparteneva proprio a Tamara.
Ora Popovich era vicino alla verità … ma chi della famiglia Rybakov poteva essere stato? Qual’era il movente dell’omicidio?
Le persone presenti nella famiglia erano solo: il consigliere, la moglie Dana, la figlia Irina e l’anziana madre Olga.
Dopo avere verificato l’alibi di tutti componenti della famiglia Rybakov, l’ispettore constatò che la figlia Irina non era presente a casa al momento dell’omicidio e che nessun testimone poteva confermare dove fosse.
La ragazza sembrava sempre più tesa e preoccupata.
All’ennesimo interrogatorio scoppiò in lacrime e confessò di avere ucciso lei la figlia del presidente.
Tamara era la sua amica d’infanzia e qualche mese prima le aveva portato via il suo unico grande amore Brody. Irina, disperata e distrutta dal dolore, aveva deciso di riprendersi il fidanzato togliendo di mezzo la rivale.
L’ ispettore Popovich, risolto il caso, venne stimato da tutti e venne promosso ad un grado superiore.
Il presidente inoltre lo premiò regalandogli una vacanza di relax in crociera sul mar Mediterraneo così che, dopo un meritato relax, potesse tornare ritemprato ad indagare su nuovi misteriosi casi, per le strade e i bassifondi di Mosca.


UN OMICIDIO PER COMPITO
di Bozzi Sara, Civardi Fabiola e Zhou Sara

     In una notte buia, in un comune isolato della Campania di nome Boscoreale, si svolge un omicidio nello studio fotografico di via A. Diaz.
     È notte fonda e il commissario Palumbo viene svegliato da una telefonata dell'ufficiale di polizia. Si alza bruscamente dal letto, risponde in modo seccato alla telefonata e viene informato dell'omicidio. Si veste in modo frettoloso e corre in commissariato.
     In commissariato l'aria che si respira è agitata. Gli viene subito incontro l'ufficiale di polizia che gli dice che il suo collega Fazio è già sulla scena del delitto e che lo deve raggiungere.
     Palumbo, grazie a un passaggio in macchina, è rapidamente sulla scena dell'omicidio. Esamina con il collega il corpo senza vita e giunge alla conclusione che la vittima è stata ammazzata con un colpo diretto di pistola alla tempia. Si scopre grazie a un testimone, amico del deceduto, che si chiamava Antonio Piscitelli. Il commissario chiede al testimone di deporre in commissariato. Qui, il testimone parla di Antonio come un brav'uomo, un uomo che pensava solo al lavoro e alla famiglia. Il commissario chiede anche al signor Giulio se può dirgli dove abita la famiglia della vittima.
      Palumbo, grazie alle informazioni di Giulio, riesce a trovare la casa di Antonio e a parlare con la moglie e intanto chiede ai poliziotti che sono con lui di perquisire la casa.
Si reca poi nello studio di Antonio dove Palumbo trova  un accendino e un archivio nel quale sono trascritti i nomi di tutti i suoi clienti e, alla fine della lista, c'è  una parte bruciata dove molto probabilmente c'era un nome. Palumbo riesce a leggere la prima e l'ultima lettera del nome “A,C” ormai completamente bruciato e chiede alla signora Piscitelli le chiavi per entrare nel negozio del marito. Dopo ringrazia la  moglie del defunto per la collaborazione ed esce dalla casa.
     Ormai si è fatta notte e il commissario torna a casa: è stanchissimo e appena tocca il letto si addormenta. Il giorno dopo prende le chiavi del negozio di Antonio che aveva deposto in un cassetto della sua scrivania e in macchina raggiunge via A. Diaz. Arrivato perquisisce il negozio e, vicino alla scrivania, trova una fotografia in bianco e nero raffigurante un chiosco di nome “Caruso”, nel ripiano a sinistra vicino alla macchina del caffè riesce a scorgere una busta al cui interno sembra esserci della  cocaina.
      Palumbo prende la fotografia la mette in una busta ed esce. Tornato in commissariato mostra la foto a Fazio e gli chiede di fare ingrandire la foto con il computer. Il commissario intanto si fa un sacco di domande: si chiede se è possibile che quell’ uomo così bravo di cui parlano tutti  così bene possa avere fatto veramente uso di stupefacenti e essersi suicidato. Le prove sono chiare: una foto con della cocaina, e un tragico colpo di pistola alla tempia. Ma allora il nome bruciato con l’accendino ?
      Palumbo, in cuor suo, sa che potrebbe subito dire all’ispettore che Antonio era uno di quei soliti poveretti a cui la droga aveva fatto perdere la ragione e far chiudere il caso, ma non si arrende, capisce  che c’è sotto qualcosa di più grosso. Si fa sera e il commissario torna a casa raccomandando a Fazio di chiamarlo appena nota anche qualche insignificante dettaglio. Arriva a casa e piomba come un sacco di patate sul divano, le ultime forze che gli restano sono quelle per fare una camomilla rilassante, anche oggi una giornata piena di quesiti e sorprese. “Drindrin”, Palumbo alza gli occhi dal cuscino sono le cinque di mattina, ha già capito chi è che gli sta telefonando….. alza la cornetta del telefono: è Fazio, ha scoperto qualcosa e sembra molto importante, si danno appuntamento al molo. Palumbo ama sentire l’odore di salsedine la mattina, si veste di fretta e furia  ed esce.
     Ecco Fazio che lo aspetta su un peschereccio ha con sé la foto e gliela mostra. Fazio facendo ingrandire la foto ha finalmente scoperto il misterioso nome che era stato bruciato. Il commissario aspetta un nome.... un nome di persona e invece viene sorpreso un’altra volta.... il nome scoperto è il nome di un’ azienda: ”ARIC”; il caso si fa sempre più complicato. Il commissario intanto inizia a fare ricerche serve l’indirizzo e il nome del proprietario dell’ azienda. Passa tutto il mattino a cercare delle fonti attendibili e finalmente riesce a trovare l’indirizzo e il nome del proprietario: Donato Moretti. Chiama Fazio non c’è tempo da perdere, il caso si sta finalmente districando, insieme progettano un piano per incastrare Moretti e per farlo finalmente confessare. Ormai è sera e Palumbo è a casa, si distende sul divano e inizia a fare un sacco di ipotesi su come sia andata la faccenda,  ma l’ipotesi che lo convince di più è una sola e domani scoprirà se ha ragione. Sono le sei e il commissario Palumbo è già in commissariato, ha già preso la pistola e l’ha messa nella tasca del giubbotto antiproiettile, insieme a lui c’è il suo fedele collega e amico Fazio e un gruppo di poliziotti; si dirigono verso l’azienda di Moretti.
Si introducono nell’azienda ed ad accoglierli all’entrata c’è una segretaria, percorrono il corridoio e arrivano allo studio di Moretti. Seduto alla scrivania c’è il sospettato, ha un aspetto e un comportamento da uomo d’affari, ma appena vede la polizia quel rispettabile signore si trasforma in una belva feroce ed assassina. Moretti prende una pistola dalla scrivania, intanto il commissario passa la pistola a Fazio che con un movimento furtivo arriva alle spalle di Moretti e gli punta la pistola alla testa; Moretti si arrende alza le mani in alto e Palumbo dichiara con un’aria più che soddisfatta: “Sei in arresto!”; gli mettono le manette, gli sequestrano l’arma  e lo caricano sulla macchina della polizia per andare in commissariato.
Moretti confessa tutto: ha ucciso Antonio perché si era rifiutato di fare delle foto alla cocaina che doveva essere venduta ad uno dei più ricercati boss mafiosi di Boscoreale; racconta di avere ricattato Antonio dicendo che se non avesse fotografato quella maledetta cocaina gli avrebbe ammazzato una dei suoi figli: il più piccolo Pietruccio.
     Intanto il commissario pensa: tutto torna, anche l’accendino, in un momento di paura e rabbia Antonio aveva bruciato il nome dell’azienda. E’ sera, il commissario si siede sul divano e riflette : “Anche questa volta è fatta, Palumbo hai risolto il caso”.


Delitto sulla neve

di  Mattia Pellizzari e Alessandro Parozzi


     Erano le 5:15 di un buio pomeriggio d’inverno, mentre la nebbia avvolgeva le piste innevate dell’Alpe di Siusi.
     “Io vado a fare un’ultima pista prima che chiudano gli impianti” disse Logan afferrando gli sci, con cui aveva passato mille avventure. Josh alzò lo sguardo dal suo giornale e si alzò dalla poltrona della hall dell’albergo Da Casemiro. “Sei sicuro? Io fossi in te andrei domani, non hai visto com’è fitta la nebbia?” esordì l’amico. “Non ti preoccupare: sono uno sciatore professionista, ormai” rispose ridendo Logan. Josh rifletté un attimo e poi disse: “OK, ti aspetto per cena. Sii prudente comunque”.
     Logan era un ragazzo alto, castano con dei bellissimi occhi verdi. Non aveva paura di nulla, e questo non era tanto un pregio, anzi era il suo più grande difetto. Il giovane si sarebbe tuffato in un mare pieno di squali per recuperare una monetina da venti centesimi!
     Josh invece era di media statura, aveva i capelli corti e neri, sempre pettinati alla perfezione. Il ragazzo era prudente, possedeva un grande intelletto e aveva lontane origini irlandesi, e il suo accento ne risentiva.
     I due amici erano molto diversi ma erano anche molto legati tra loro, e ormai si conoscevano da anni.
     La porta si chiuse e Josh riprese la sua lettura, mentre fuori la nebbia aumentava, e molti sciatori ritornavano stanchi dalle piste.
     Erano ormai le sei e trentacinque minuti,e il giovane sciatore non era ancora rientrato. Josh non poteva negare la sua preoccupazione. Ormai era passato tanto tempo da quando l’amico se n’era andato, e le piste erano già chiuse. Mentre era immersoin questi pensieri, entrò un uomo nell’albergo gridando aiuto. Josh gli chiese cos’era successo, ma l’uomo iniziò a balbettare:
 Neb-bbia…  Sci-i…  Morto…”.
     Allora il proprietario dell’albergo, il sig. Casemiro, gli diede una tazza di the caldo per farlo calmare. Quando riuscì a calmarsi poté iniziare a spiegare:
Stavo per tornare alla seggiovia quando ho sentito un grido. Mi sono voltato e ho visto un uomo in lontananza che scendeva accovacciato… quando è sceso vicino a me l’ho chiamato, ma vedendo che non rispondeva mi sono avvicinato e ho visto che aveva una profonda ferita al torace e… l’uomo era morto”. Josh si sentì svenire. “Com’era fatto?” disse con un tono di angoscia. “È qui fuori, l’ho trascinato fino all’albergo” rispose l’uomo. Tutti si fiondarono fuori. Josh non voleva guardare, ma appena uscì lo vide. Era Logan, pallido, disteso a terra, con ancora gli sci addosso e con un taglio profondo che aveva sporcato di sangue pure la neve. Il ragazzo pianse, perché non lo aveva ascoltato? Ma com’era possibile che si fosse procurato quel taglio in una semplice caduta? Non poteva essere andato a sbattere contro un albero, perché altrimenti gli sarebbero rimaste delle schegge, e con la pietra avrebbe avuto un’emorragia interna. Quello era stato un omicidio e lui avrebbe risolto il mistero e si sarebbe vendicato…
     Esaminò minuziosamente la zona e solo dopo notò il coltello ancora imbrattato di sangue. Josh lo afferrò e lesse a malapena le incisione D.C. Aveva già visto quel tipo di coltello ma non si ricordava dove.
     “La pista in cui ho visto il corpo è quasi sconosciuta ai turisti, la conoscono solo i veterani dell’alpe.” Concluse l’uomo che aveva ritrovato Logan.
     Questa era un’informazione importante per Josh.
Rientrò dentro. C’era solo il proprietario. “Brutta ferita, eh?” disse l’anziano. “Già. Ma so che non è stato un incidente. È stato un omicidio. Ma chi avrebbe potuto volere farlo fuori ” affermò deciso il giovane. Il titolare ci pensò e poi disse “Non lo so. So solo che adesso sarò costretto a chiudere, perché quando si spargerà la voce nessuno vorrà venire nel mio albergo. Nessuno vorrà venire. Nessuno vorrà venire. È possibile che qualcuno arrivi a uccidere una persona per far chiudere un albergo?.  I pensieri di Josh erano molto confusi, quando la sua mente si illuminò. “Ma certo!” esclamò, e poi chiese al titolare: “Quanti alberghi ci sono nella zona?” “Due, il mio e lAlbergo della Marmotta, aperto e gestito dal mio grande rivale. Ma non capisco cosa possa servirti saperlo rispose. “E come si chiama il proprietario dell’Albergo della Marmotta?” continuò l’improvvisato investigatore. “Dario Cormacci” disse il vecchio. Josh sorrise, le iniziali del coltello, D.C., coincidevano. Era stato sin troppo fac ile stanare il colpevole.
     Erano le quattro del pomeriggio del giorno seguente. La nebbia non si era ancora alzata, ma c’era comunque un sacco di luce. Luce provocata dalle luci rosse e blu della macchina della polizia.
     Un signore sulla cinquantina uscì dall’Albergo della Marmotta. Era visibilmente confuso alla vista della polizia e quando chiese spiegazioni gli dissero che era in arresto per l’omicidio del giorno precedente. Lui, sconvolto, disse: “Io??? Ma com’è possibile? Ieri sono andato a fare un’escursione organizzata dall’albergo e sono stato fuori tutto il giorno! E questi signori possono provarlo!” disse indicando tre ragazzi tedeschi e una decina di persone che si stavano preparando per andare a sciare. Loro annuirono e mostrarono delle foto del gruppo in cima ad un passo che si trovava da una parte opposta del luogo del delitto. E le foto erano state scattate il giorno precedente, alle cinque e cinquanta. Josh si mise le mani fra i capelli. Aveva sbagliato.      
     Aveva fatto una tremenda figuraccia. Ma in fondo non era il suo mestiere l’investigatore.  Ma lui aveva promesso di trovare il colpevole, e di certo non si sarebbe tirato indietro. Ma come era possibile? Chi era stato a uccidere Logan? Uno che voleva far cadere la colpa sul titolare dell’Albergo della Marmotta? Ma certo! Era stato il titolare del loro albergo, l’albergo Da Casemiro! Ecco dove aveva visto quei coltelli, erano i coltelli con la sigla dell’albergo che fornivano per i pasti! Il loro titolare voleva far ricadere la colpa sul suo rivale in modo che venisse arrestato, cosa che avrebbe comportato la chiusura del suo albergo.
     Era lui l’assassino, che per avere più clienti sarebbe stato disposto ad uccidere.
Questo spiega come quella fatidica sera lui sapeva che quella di Logan era una brutta ferita, anche se non l’aveva vista!
     E infatti il vecchio conosceva benissimo le piste, così conosceva anche quella!
“Tutto torna! So chi è il vero assassino! Seguitemi!” disse ai poliziotti. Ma loro non lo seguirono. Avevano appena fatto una figuraccia e non volevano rischiare di farne altre. “Dai! Vi prego aiutatemi!” continuò. “Vengo io” disse un giovane poliziotto. Josh lo guardò negli occhi. Gli ricordava il suo vecchio amico Logan, lui non aveva paura.         Allora i due corsero all’albergo, ma ad aspettarli c’era il titolare con una pistola  in mano e una valigia nell’altra. “Ah, mi dispiace ma è cartolina! Addio” disse scappando verso la finestra. Ormai era fatta. Aveva scavalcato la finestra ed era scappato, dopo tutte quelle indagini. Ma subito dopo si sentì solo un “Mani in alto!”. Josh e il giovane poliziotto uscirono per vedere cosa stesse succedendo. La polizia era venuta lo stesso e l’avevano catturato. L’ultima volta che Josh lo vide era mentre entrava nella macchina della polizia gridando. La sera venne organizzata una festa per il caso risolto, ma il ragazzo non partecipò.
    Lui non era felice.
    Dentro aveva ancora rancore.

 

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